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L'ultima giornata di caccia PDF Stampa E-mail
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Scritto da "Sa Pubusa"   
Sabato 01 Agosto 2009 13:18

Chi pensa che nella vecchiaia si dormano finalmente sonni tranquilli si sbaglia, difatti anche quella notte, vigilia dell’ultima giornata alla caccia grossa di quella stagione, tziu Antoni dormì poco o nulla.
Nel dormiveglia per scacciare i ricordi che gli davano solo dolore, ripensava a tutte le levatacce fatte in oltre cinquant’anni d’attività venatoria, alle tante prede catturate ed a quelle ancora più numerose che gli erano sfuggite.
Alle cinque in punto, pochi minuti prima che la sveglia suonasse era già in piedi, doveva solo accendere il fornello del gas sotto la caffettiera già preparata dalla sera precedente, altro non doveva preparare poiché il rito della sistemazione di tutto l’occorrente nel capiente zaino era stato consumato anch’esso la sera prima.
Cercava solo di non fare rumore per non svegliare gli altri abitanti della casa, ma nel silenzio della notte, anche lo scricchiolio delle sue vecchie giunture sembravano schiocchi di frusta.
Alle sei, partenza per il punto di raduno, fissato nella piazza del paese da dove poi si sarebbero mossi agli ordini del capocaccia che già dalla sera precedente, dopo le ultime informazioni avute dai cercatori di tracce aveva stabilito i luoghi di battuta. Antoni era il più anziano per cui aveva diritto ad una posta non troppo disagevole da raggiungere.
In genere gli assegnavano delle poste con passaggi larghi, i riflessi non erano più quelli di una volta ma se il cinghiale gli dava il tempo di prendere la mira in genere non gli dava scampo.
Quella mattina il tempo minacciava pioggia ed i battitori non erano granché soddisfati della prospettiva, ad infradiciarsi nel mezzo della macchia sarebbero stati loro non i cacciatori.
Man mano il capo caccia disponeva i cacciatori nelle poste e quando toccò il turno di Antoni i compagni più giovani si misero a sghignazzare e sfottere poiché gli fu assegnata come posta un riparo naturale composto da due lastroni di pietra appoggiati l’uno all’altro, come al solito accettò di buon grado gli sfottò dei compagni e pensò che erano meglio quelli che bagnarsi sotto la pioggia battente.
Per altro era una posta che già conosceva poiché gli era capitato altre volte che gli fosse assegnata.
La battuta cominciava da lontano, era un territorio molto vasto ma con pochi passaggi obbligati per cui anche una piccola squadra di poco meno di venti fucili come la loro poteva essere sufficiente a chiudere la battuta.
Era una posta comoda ma non molto fortunata, non ricordava di avere mai abbattuto una preda in quel passaggio poiché non era particolarmente adatto alle sue attitudini, lui non era un “blocchista”, aveva bisogno di tempo per prendere la mira e quello stretto passaggio non lo consentiva.
Ancora non erano stati lanciati i cani che la pioggia battente si era trasformata in una leggera pioggerellina ed una nebbiolina color cenere appannava la vista sul canalone, mise lo zainetto in fondo al riparo dietro di sé, piegò l’impermeabile e lo poggiò sul masso che gli sarebbe servito da sedile e intanto pensava a quanto poco sarebbe piaciuta la fastidiosa pioggerellina ai compagni che poco prima lo sfottevano e che ora magari invidiavano la comodità della sua posta.
Una volta appostati, ai cacciatori era severamente proibito fumare o fare rumori di alcun genere, per cui Antoni decise di lasciarsi andare ai ricordi, tanto non facevano rumore ed aiutavano a passare il tempo anche se alcuni, nonostante il tempo trascorso, davano un dolore sempre forte.
I suoi pensieri altro non erano che ragionamenti preoccupati e incentrati in genere sui problemi veri o presunti dei suoi figli e nipoti lontani che vedeva solo d’estate durante le loro vacanze.
A dire la verità, anche i nipoti stavano per diventare a loro volta padri e quindi lui sarebbe diventato bisnonno e dire che quando da giovane militare nel 43 fu catturato dai tedeschi e fu portato in un campo di concentramento non avrebbe scommesso una lira sul fatto che sarebbe campato oltre ottant’anni e per di più andando ancora a caccia.
Un pensiero però lo tormentava più di tutti, la morte di Ottavio, il preferito dei suoi nipoti, un ragazzino sempre allegro e vispo che smaniava di sentirsi raccontare le avventure di caccia.
E lui per farlo felice raccontava, condendo le sue storie con molta fantasia per fare felice il nipotino che lo ascoltava estasiato.
Quando spesse volte andava con lui in campagna gli insegnava a conoscere gli animali, il veloce falco, il querulo merlo, il timido coniglio, la furtiva volpe, certe volte Ottavio era anche più rapido del nonno nell’individuare e riconoscere gli animali, anche quelli più nascosti.
Ma quell’estate di due anni prima, mentre si rincorreva giocando con altri suoi compagni, in un momento di distrazione attraversò improvvisamente la strada e purtroppo fu investito da una delle poche automobili di passaggio, per lui non ci fu più niente da fare.
Per tutta la famiglia fu una tragedia enorme, non riuscivano a capacitarsi per la perdita del povero Ottavio.
Nonno Antoni soffrì più di tutti, si vedeva sempre davanti agli occhi quel nipotino che era il suo prediletto forse perché era il più piccolo o forse perché era quello che gli assomigliava più di tutti gli altri.
Gli diceva sempre che anche lui un giorno sarebbe diventato un gran cacciatore come il nonno, sarebbe stato furbo e silenzioso come la volpe, veloce e preciso come il falco.
Il destino volle diversamente e la morte invece di prendersi un vecchio come lui aveva ingiustamente deciso di portarsi via un bambino innocente.
L’improvviso anche se lontano l’abbaiare dei cani e le grida dei battitori lo riportarono bruscamente alla realtà, e lo distolsero dai suoi cattivi pensieri.
Pensava che se pure i cani avessero stanato una preda, vista la distanza, prima di arrivare alla sua posta avrebbero impiegato almeno dieci minuti.
Prima ancora che potesse riprendere il corso dei suoi pensieri sentì un leggerissimo rumore provenire dal fitto del cisto lungo il canalone, magari era qualche maschio solitario di cinghiale che era partito da solo senza essere stanato dai cani.
Invece all’improvviso, con fare furtivo ed a passo felpato apparve una volpe, un bellissimo esemplare, forse un maschio.
Sulla volpe inseguita dai cani si sparava, altrimenti la muta avrebbe continuato a rincorrerla ignorando altre prede, quelle che invece partivano da sole e non erano inseguite non bisognava spararle per evitare che i cani fossero distratti o che eventuali prede che venivano nella stessa direzione potessero essere deviate.
La volpe sembrava quasi che fosse a conoscenza di questa regola non scritta perché si piazzò nell’unico spazio libero, che era anche il potenziale punto di passaggio del cinghiale e cominciò a rotolarsi, a grattarsi e strusciarsi sul terreno ignorando completamente il cacciatore che era a poco meno di dieci metri da lei.
Era sottovento per cui non poteva sentirne l’odore, Antoni fece dei sordi rumori con la gola cercando di spaventarla per farla allontanare poiché poteva anche essere d’ostacolo nel caso fosse passato il cinghiale.
Nulla da fare, la volpe o era sorda oppure voleva prendersi gioco di lui, fatto sta che essa gli si avvicinò ancora di più e forse considerandolo non pericoloso, cominciò ad osservarlo con curiosità.
Correva velocemente in cerchio poi improvvisamente si buttava pancia in terra e cominciava a rotolarsi, il vecchio cacciatore, prima infastidito ora cominciava a provare gusto nel guardare i giochi della volpe.
Chissà perché quella scena gli fece venire in mente i giochi sull’erba di Ottavio al quale stava pensando fino a poco prima che arrivasse la volpe.
Di tanto in tanto la furbastra si metteva seduta, guardava nella sua direzione ed alzava ed abbassava la testa come se volesse dirgli qualche cosa, ma questo forse era solo il frutto della sua immaginazione.
Ad un certo punto, forse stanca di giocare, la volpe si fece ancora più avanti e forse considerandolo innocuo o parte integrante dell’ambiente si accucciò sotto un lastrone di pietra e da lì continuò ad osservarlo.
Pochi minuti dopo il forte latrare dei cani che scendevano lungo il canalone lo riportò alla realtà mentre poche decine di metri davanti a loro si scorgeva un grosso cinghiale che scendeva velocemente fendendo con forza la macchia, veniva dritto verso di lui, alzò il fucile e inquadrò lo spiazzo dal quale sarebbe obbligatoriamente passato.
Nel fare ciò vide che la volpe non solo non scappava ma si acquattava ancora di più sotto il lastrone di pietra e contemporaneamente lo guardava con occhi imploranti, o almeno così sembrava ad Antonio.
Il cinghiale, un maschio enorme, spuntò esattamente nel passaggio obbligato, Antonio prese la mira ma lasciò che il cinghiale con tutta la muta di cani appresso passasse incolume.
L’animale non passò in nessun’altra posta ed i cani lo portarono fuori battuta.
Solo allora Antonio prese coscienza dell’accaduto, al tempo stesso la volpe uscì da suo nascondiglio, ora poteva sparargli se avesse voluto.
Non aveva sparato al cinghiale, una preda stupenda, forse l’ultimo che gli era capitato sotto tiro nella sua lunga vita di cacciatore proprio per impedire che la muta dei cani una volta abbattuto il cinghiale potesse prendere la traccia della volpe, chissà perché l’aveva salvata.
La volpe sempre più convinta dell’innocuità di quell’uomo allampanato che la osservava immobile sempre al riparo tra le due rocce decise che era ora di togliere il disturbo e sfiorando con la sua folta pelliccia il riparo del cacciatore s’inoltrò tranquillamente verso il bosco retrostante non prima di avergli dato un’ultima occhiata, ad Antoni quegli occhi furbi parvero del tutto simili a quelli di Ottavio. Quando il capocaccia avrebbe suonato il corno per dare il segnale che la battuta era chiusa i suoi compagni sarebbero cominciati a scendere verso di lui dopodiché sarebbe ricominciato lo sfottò.
"Scommetto che ti sei addormentato e quando e passato il cinghiale non ti sei nemmeno accorto" diceva Giovanni, altri ancora scherzavano dicendo che forse si era distratto giocando a carte con qualche volpe, neanche s’immaginavano quanto queste battute scherzose fossero vicine alla realtà.
 

 

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