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Su guadrianu de s'arriu PDF Stampa E-mail
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Scritto da "Su Cuccumeu"   
Sabato 01 Agosto 2009 13:27

Il gran caldo di quel primo pomeriggio di luglio rendeva ancora più dirompente la vitalità di Giunneddu che insieme agli altri coetanei scendevano al fiume per divertirsi nuotando e facendo i tuffi da “sa corona de molinu de susu” , de “sa liada” o de “sa pixina de Matteu”. .
I discorsi, più gridati che ragionati dei ragazzi erano in massima parte vanterie su improbabili avventure avute di nascosto con questa o quella compagna di scuola, amica, conoscente o addirittura parente alla lontana.
Ora che non potevano sentirli, schernivano gli atteggiamenti dei compagni più grandi, cosa che non si sarebbero mai potuto permettere in loro presenza, perché in tal caso sarebbero state botte da orbi.
Il massimo dei desideri o delle aspettative, dei loro sogni o delle speranze era limitato alla giornata corrente o al massimo, forse, al giorno dopo.
Non era necessario pensare al futuro, erano ancora dipendenti in tutto dai genitori, perciò non avendo quest’incombenza con l’immaginazione volavano in un avvenire dettato dalla fantasia, magari sulla falsa riga degli eroi dei loro telefilm preferiti.
Giuanneddu, in questo non era diverso dai suoi coetanei, aveva una fantasia sfrenata e solo in parte rendeva noto ai suoi compagni il contenuto dei suoi sogni, alcune cose non poteva raccontarle a nessuno, neppure a loro.
Aveva comunque grandi aspettative, la sua passione era la divisa, da grande sicuramente sarebbe diventato poliziotto o carabiniere, guardava con malcelata ammirazione e invidia i conoscenti e parenti che avevano avuto la fortuna di potersi arruolare e che quando venivano in licenza o in visita a casa sua arrivavano sempre in divisa quasi pavoneggiandosi.
Quel giorno, non partecipava granché agli strilli e alle vanterie dei suoi compagni, interrotti solo dal sistematico lancio di sassi, tirati senza profitto, verso gli uccelli che si posavano sulle siepi di fichi d’india che costeggiavano la strada che scendeva scoscesa verso il fiume, era pensieroso, quasi in attesa di un segnale.
Come quel giorno di primavera dell’anno prima, quando salendo dalla strada di pixedda, passando vicino al vecchio mandorlo fiorito che era ai limiti del muro della casa de su cavalleri, non riuscì più a guardarlo con gli occhi pieni di meraviglia del bambino che non era più, era entrato nella pubertà, stava diventando un ragazzo e la cosa lo spaventava.
Oramai erano arrivati alla discesa di “sa calada de flumini”, l’odore inebriante della menta di fiume dava già una sensazione di freschezza e li faceva sentire già dentro l’acqua fresca del fiume e completarono la discesa correndo a rompicollo fino al “correntino” di molinu de mesu.
Giuanneddu, pur incitato dai suoi compagni continuava ad essere pensieroso, aveva come una sensazione d’oppressione dalla quale non riusciva a liberarsi.
Dopo essersi stancati di spruzzarsi acqua con le mani si avviarono alla piscina, non senza prima sfidarsi a chi avrebbe resistito di più sott’acqua o a chi si sarebbe tuffato dalla roccia più alta.
Alla fine chi in mutande chi senza cominciarono a gettarsi in acqua mettendo in atto le sfide lanciate poco prima, ovviamente non c’erano arbitri, perciò ciascuno si considerava vincitore.
Considerata la sua scarsa partecipazione ai giochi di gruppo, o per liberarsi da quella cattiva sensazione, almeno per quel giorno, Giuanneddu decise di sfidare se stesso, prima lanciandosi dalla roccia più alta con un tuffo perfetto e poi cominciando a passare sott’acqua da una parte all’altra della piscina.
I compagni lo conoscevano come un buon nuotatore, ma qual giorno Giuanneddu sembrava insuperabile, per cui ad un certo punto si fermarono e cominciarono ad incitarlo a fare sempre di più e lui non si tirò indietro anche se cominciava a sentirsi un pò stanco.
Riuscì addirittura a fare un doppio passaggio, andata e ritorno sott’acqua da una sponda all’altra senza respirare, aveva acquisito un’acquaticità tale che gli sembrava di essere diventato un pesce e di potersi permettere tutto ciò che voleva, magari fare avanti e indietro anche quattro volte da una sponda all’altra.
Dopo il terzo passaggio gli venne una sincope, a causa dei tanti passaggi, l’acqua era ormai diventata torbida e per andare più veloce si afferrava alle rocce sul fondo e si dava una spinta, questo gli fu fatale perché quando si sentì male rimase con una mano incastrata tra due massi e non poté più risalire in superficie.
I compagni non vedendolo credevano che volesse battere tutti i record e continuavano ad incitarlo.
Dopo avere in tutti i modi cercato di liberarsi le forze gli vennero meno e si lasciò andare, in lui non c’era più né terrore ne paura, l’acqua che stava inspirando nei polmoni sembrava ubriacarlo.
Giuanneddu, in quei pochi secondi di vita che gli restavano stranamente pensò che il suo ricordo più atavico risaliva forse a quando lui non era ancora nato e nel grembo materno galleggiava, proprio come ora in un liquido tiepido.
Come un lampo gli passarono nella mente il vociare gioioso della sorellina, il volto dolce e paziente della madre sempre pronta a difenderlo anche quando il padre, giustamente, lo redarguiva per qualche marachella che combinava ed infine gli amici che, ancora, anche se sempre più debolmente, sentiva gridare a gran voce il suo nome dal greto del fiume.
Dopo alcuni minuti qualcuno cominciò a preoccuparsi e si buttò in acqua per vedere cosa poteva essere successo, nell’acqua torbida toccarono le sue gambe e cercarono di tirarlo fuori senza però riuscirci si spaventarono a morte e scapparono tutti in paese per cercare aiuto, ma il loro amico ormai non era più tra loro.
Alcuni di loro si sentirono in colpa per il resto della loro vita, altri dissero che era un nuotatore troppo bravo per farsi fregare così, altri ancora che era stata tutta colpa di una congestione e che poteva capitare a chiunque se non si prestava attenzione a queste cose.
La morte l’aveva liberato del suo giovane corpo, era libero, il suo spirito però continuava ad essere presente in quel fiume che a lui in vita diede tanta gioia e che tanto dolore diede invece ai suoi cari.
Una cosa è certa, quell’ansa di fiume, pur essendo uno dei posti più belli da vedersi, da allora, non fu più teatro dei giochi dei ragazzi, anzi, era una zona che evitavano accuratamente, come se qualcuno vi facesse la guardia per evitare che altre disgrazie simili vi potessero accadere.



 

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