La nascita e il Battesimo Stampa
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Scritto da Fortunato Loi   
Sabato 01 Agosto 2009 11:00


   Fino alla metà del secolo scorso lo scorrere della vita quotidiana degli Asunesi, pur essendo stata influenzata dai grandi eventi storici nazionali, non fu stravolta come accadde nei grandi centri, ma continuò a scorrere lenta e simile a se stessa.

        Trascorsa la seconda guerra mondiale , rientrati i giovani, chi dalla guerra chi dalla prigionia, il paese ricostruì il suo tessuto sociale senza molti cambiamenti.

        Il tutto riprese con le stesse tradizioni ed usi, ripartendo da una maggiore povertà; chi è vissuto in quel periodo conosce i sacrifici affrontati dai loro genitori per migliorare la vita dei propri figli.

        Il paese era capolinea di una corriera dell’allora concessionaria dei trasporti pubblici “Sita” che lo collegava con alcuni paesi  fino a Cagliari; vi era un’unica strada carrabile, Asuni bivio di Senis, mentre tutti gli altri paesi confinanti dovevano essere raggiunti a piedi, a dorso di cavallo o d’asino attraverso impervi sentieri.

        Di seguito si tenta di descrivere come era articolata lo svolgersi della vita paesana nei momenti felici e tristi.

 

Sa Nascita - La Nascita

        Il momento di maggior felicità dei giovani sposi era quando la moglie comunicava al marito che era “impedida”cioè “aspettendi pippiu” in attesa di un bambino.

        Durante il periodo di gestazione, quando iniziavano a vedersi gli evidenti segni della maternità, tra gli sposi generalmente si discuteva sulla preferenza del sesso del nascituro.

        Generalmente le donne prediligevano la nascita di una femmina, mentre gli uomini quella di un maschio, e questo egoisticamente perché ognuno pensava al futuro aiuto che avrebbe ricevuto nell’espletamento delle proprie gravose incombenze.

        La donna portava orgogliosamente il proprio stato e le comari più anziane facendole i complimenti facevano anche previsioni sul sesso del nascituro dalla forma della pancia.

        Se la pancia assumeva una forma molto pronunciata  prevedevano “ ki fessidi maschixeddu” che fosse maschietto, mentre se la pancia tendeva ad allargarsi ai fianchi prevedevano “ki fessidi femmiedda” che fosse femminuccia.

        Consigliavano la gestante “de non trascurai is disigius” di non trascurare le “Voglie”, quindi di farsi portare dal marito qualsiasi cosa avesse desiderato.

        Si credeva che se non si soddisfacevano “is disigius”  le voglie delle puerpere, il corpo del nascituro potesse essere tatuato con la forma della cosa desiderata nel punto in cui la donna si era toccata al momento del manifestarsi del “disigiu”.

        Se la Voglia era un frutto fuori stagione o qualsiasi altra cosa impossibile da reperire, allora consigliavano di toccarsi nel fondo schiena, così se fosse apparso “su disigiu”  restava nascosto.

        Durante il periodo di gestazione la sposa provvedeva alla preparazione del corredo del neonato che per quanto povero nella qualità o quantità non prescindeva dai seguenti elementi.

                                Sa Caretta – Copricapo, generalmente ricamato, che copriva anche le orecchie e con due fettucce  che servivano per legarli nel sottomento.

                                Sa Camisedda – Camiciola, generalmente ricamata, che si allacciava posteriormente con fettucce.

                                Su Gipponeddu – Gilè in panno con bordature colorate, anch’esso chiuso con legacci di fettucce ma nella parte anteriore.

                                Sa Vaschittedda – Sostitutivo degli attuali pannolini che fasciava il bambino

                               Sa Lazzada – Finiva la fasciatura

                               Is Migias  - Le scarpette di lana

        Il futuro padre provvedeva a far costruire “Su Bratzollu po nanniai su pippiu”  una culla a dondolo per il bambino, che sarebbe servito anche per i futuri figli.

        Sempre nel periodo di gestazione i futuri genitori discutevano sul nome da dare al nascituro, generalmente  prendeva il nome dei nonni.

        Il primo maschio prendeva il nome del nonno paterno, la prima femmina prendeva il nome della nonna paterna, mentre il secondo maschio e la seconda femmina prendevano il nome dei nomi materni.

        Siccome generalmente le famiglie erano numerose, successivamente chiamavano i figli con il nome dei santi protettori.

        Arrivano i giorni precedenti all’evento, il marito si reca a casa della “Maista e Partus” per preavvisarla e chiederle di assistere la moglie.

        Quando la moglie “iada Libetau o Scendiau” aveva partorito, il marito riaccompagnava a casa “sa maista e partus” portandole oltre ai ringraziamenti per il lavoro svolto, regalie in natura, ognuno secondo le proprie possibilità.

        La gioia della nascita del figlio, maschio o femmina che fosse, metteva in secondo piano tutte le discussioni  e paure.

        Il primo atto da compiere era quello di andare in Municipio, entro i termini di legge, per registrare la nascita del figlio.

        Il marito, avute le ultime discussioni con la moglie per quanto riguarda il nome, si recava a svolgere l’incombenza della registrazione; cercava quattro testimoni, che portava al bar prima di recarsi in Municipio, succedeva a volte che la felicità per la nascita del figlio fosse direttamente proporzionale agli inviti di buon augurio, e che al momento della registrazione il bambino si ritrovasse con un nome diverso da quello scelto.

        A ciò si poneva rimedio durante il battesimo antecedendo il nome prescelto a quello legale, cosicché alcuni si trovavano con un nome diverso nei due luoghi, nell’Anagrafe Comunale e in quello della Chiesa.

        Altra incombenza subito dopo la nascita del figlio era quello di scegliere i padrini.

        Il genitore si recava a casa del prescelto, generalmente amici o parenti fidanzati o sposati, dove veniva accolto con grande cortesia, e diceva “Sigumenti pobidda mia ha tentu su pippiu, hiausu a tenni presceri, ki si olleisi fai sa caridadi, de s’iddu  battiai” – mia moglie ha avuto il bambino, noi avremmo piacere, se volete farci la carità di battezzarcelo.

        L’educazione religiosa considerava una carità accettare di battezzare un bambino, ma allo stesso tempo era una espressione da parte dei genitori di amicizia e considerazione, quindi essere scelto ed accettare di diventare “Poppai  o Gommai” era un atto che nel tempo accresceva i legami di amicizia.

        In futuro il figlioccio avrebbe chiamato i padrini “Nonnu” e “Nonna”

 

Su Battiari – Il battesimo

        Il battesimo veniva scandito da precise regole e cerimoniali, esso, salvo impedimenti particolari, doveva essere celebrato entro l’ottavo giorno dalla nascita e comunque nella domenica successiva.

        Il padrino e la madrina si recavano a casa del figlioccio, la domenica pomeriggio.

        La mamma dopo aver preparato  il bambino lo affidava ad una “bagadiedda” ragazza per portarlo in chiesa.

        Quindi da casa del bambino si dipartiva una piccola comitiva composta da genitore, il bambino in braccio a “sa bagadiedda”, i padrini, amici e parenti invitati.

        La madre restava a casa e aspettava il ritorno della comitiva in quanto non poteva ne uscire di casa ne  assistere al battesimo.

        Espletata la cerimonia la comitiva accompagnata dal “su vicariu” prete usciva nella piazza del chiesa con il bambino in braccio alla madrina, e li ad attenderla c’erano tutti i ragazzini del paese che aspettavano che il padrino mettesse la mano in tasca e iniziasse a lanciare manciate di caramelle miste a monetine, ciò continuava fino all’ingresso della casa del bambino.

        Se capitava che la moltitudine dei ragazzini giudicasse che il padrino si comportasse da tirchio veniva incitato ad elargire altre caramelle con una filastrocca “Battiari sciuttu, busciacca stampada, su nonnu zoppu, e sa nonna sciankada”-Battesimo asciutto,tasca bucata, padrino zoppo, madrina sciancata, - quindi per non essere accompagnati da questa continua filastrocca irrispettosa, il padrino percorreva il tragitto di ritorno seminando a destra e a manca caramelle e monetine.

        Arrivati sulla soglia di casa i padrini facevano “is Striañsa” – il regalo, nascondendolo in “sa Lazzada” e riconsegnavano il bambino alla mamma per essere allattato.

        Gi invitati venivano accolti in “S’apposentu” camera per ricevere gli ospiti e li iniziava il ricevimento del battesimo.

        Venivano offerti liquori fatti in casa a base di acquavite e aranci o menta “arrossolliu” e dolci, “Biancheddus, gueffus e piricchittus”, quindi veniva servito il caffè, dopo ciò ognuno rientrava alla propria abitazione.

        Una mattina della settimana successiva il battesimo la madre, di buon’ora alla prima messa, si recava in chiesa per “S’incresiai” essere purificata e quindi riprendere il suo posto in società.

        Effettuata tale incombenza la domenica successiva i genitori con il bambino eseguivano “Sa  cumprascenzia” la visita a casa dei padrini e li si ripeteva l’invito, con ciò finiva la cerimonia del battesimo.


Ultimo aggiornamento Sabato 01 Agosto 2009 11:12