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Cixiri e casta PDF Stampa E-mail
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Scritto da Fortunato Loi   
Lunedì 03 Agosto 2009 15:23

Arrivò  “su mesi de treullas” (luglio), nella strada che conduceva a “is axriollas” (aie), i piedi scalzi affondavano nella polvere calda che per divertimento venivano trascinati a formare due piccoli solchi.

Per accorciare la strada si prendeva un sentiero sulla sinistra largo non più di un metro, ed arrivavano i dolori. Il sentiero era delimitato da una parte e dall’altra da una distesa di “cixiri e casta” che arrivato a maturazione lasciava cadere i suoi dolorosi frutti, impossibili da evitare per l’abbondanza di cui era disseminato il sentiero. Finito il sentiero ci si trovava  davanti ad ampi spazi ricavati sul banco di roccia, circondati da cumuli di “ma(n)igas” (covoni) di grano disposti a semicerchio che si dipartivano da nord-ovest a sud- est, a più file, frutto del sudore di un anno.

Nella parte alta del pianoro tra “su mudregu e sa scaria siccada” (il cisto e gli asfodeli secchi) si ergeva maestosa, “sa barracca de ziu Mundeddu”, alta, di forma conica costituita da pali in legno e ricoperta con maestria con fascine di “mudregu” (cisto), con due ingressi, uno a maestrale e l’altro a libeccio.

Ziu Mundeddu, uomo di grande bontà e cortesia, svolgeva la funzione di “ castiadori” (guardiano) e tutti gli riconoscevano, a seconda della quantità di covoni, una ricompensa in natura per il servizio svolto.

Negli spiazzi puliti si disponevano in perfetto cerchio i covoni, che venivano slegati in modo che i ”manugus” potessero essere disposti a più strati. Ultimata la sistemazione, quando il sole aveva inaridito le spighe, entrava il giogo di buoi che a seconda della grandezza de “s’axriolla” poteva essere più di uno. Il giogo, governato in un primo momento da un adulto, veniva affidato successivamente a “picciocheddus” che portavano a compimento l’opera di trebbiatura, facendo camminare in tondo il giogo di buoi che trascinava una pietra  piatta su cui spesso “is picciocheddus” salivano, e per gioco si facevano trainare.

Tottu is axriollas” (l’aia) era un vociare di persone indaffarate ad incitare il bestiame o sgridare “is picciocheddus”, un andirivieni di “messaias” che con “is marigas” (brocche) abilmente portate sulla testa rifornivano di acqua fresca. A conclusione delle varie fasi della trebbiatura si aspettava che il vento intensificasse la velocità per poter procedere a “ bentullai” (ventilare) per separare il grano dalla paglia.

Finita la giornata si ripercorreva il sentiero e si rifaceva  lo slalom per evitare inutilmente i frutti dolorosi (“cixiri e casta”).

Passò un anno, ritornò “su mesi de treullas”, e la baracca e “Ziu  Mundeddu” venne eretta in “pra(n)u mudregu”, nello spiazzo dove si giocava a pallone. I covoni vennero disposti in alte cataste in più file parallele perché doveva arrivare la trebbia.

Finalmente arrivò il giorno, si sparse la voce che stava arrivando la trebbia, e giù a “rotta di collo e didus sconcheddaus” fino a “su ponti de tintinnau” dove si presentò una grande cassa di legno montata su un carro a quattro ruote  di ferro, della lunghezza di circa sei o sette metri, e che spiccava per il suo brillante colore arancione. Dai suoi lati sporgevano degli assi sui quali erano montate delle pulegge, il tutto collegato con un lungo asse ad un trattore cingolato che marciava a passo d’uomo.

Is picciocheddus, che non avevano mai visto nè un trattore ne una trebbia, erano talmente elettrizzati dall’avvenimento che i  genitori  dovettero portarli a casa  a forza.

All’indomani di buon mattino tutti erano li ad assistere al piazzamento della trebbia e non andarono via fino a quando non la videro funzionare. Venne messo in moto il trattore con una cartuccia inserita nella parte anteriore del motore, con un grande scoppio si mise in moto facendo ruotare velocemente un volano posto sul lato, collegato ad una grande puleggia situata nella parte alta della trebbia con un’enorme cinghia di cuoio, ed essa si avviò con grande frastuono e movimento di pulegge e di cinghie. Da quell’anno venne man mano  abbandonato il sentiero contornato da “cixiri e casta”. Erano i primi anni 50 del secolo appena passato.

 

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