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Storia del Castello di Medusa e del bandito Perseu
Storia del Castello di Medusa e del bandito Perseu - Asuni: storia del Castel Medusa e del bandito Perseu PDF Stampa E-mail
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Scritto da Antonio Fanari   
Venerdì 31 Luglio 2009 21:48
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Storia del Castello di Medusa e del bandito Perseu
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Per via delle asperità il territorio è stato antropizzato pochissimo, le grotte e le caverne sono state nel passato ricovero di banditi. Esiste ancor oggi nelle sue vicinanze in località "Sa serradedda" in agro di Asuni una grotta denominata "Sa conch'e su bandidu". Un fatto successo realmente nel XIX secolo (nel 1844) parla di un bandito, tale Francesco Perseu, nato in Asuni nel 1805 da Bardirio (anche Lui bandito, pare che per la famigerata "frisia", che comportava la delazione per il favoreggiamento sulla cattura di un altro latitante, ed avendo necessità di assoluzione per i propri reati, catturò nelle foreste dell'Iglesiente con l'ausilio di soli cani, un certo bandito Manunza, assicurandosi la libertà) e Rita Anedda. Rinchiuso nelle carceri di Genova, raccontò ad un suo compagno di cella (tale Giovanni Battista Lampo di Borgo d'Ale in provincia di Alessandria) della sua latitanza nelle campagne di Asuni, in provincia di Isili.  Disse che aveva scoperto un immenso tesoro, composto da mucchi d'oro e d'argento, statue, armi preziose, pietre preziose e marmi all'interno del Castello. Dagli scritti risulta che il Perseu avesse dimora abituale in un posto impervio e privo di vie di comunicazione, le carte parlano di  "Su concali de argoneus" (il vero nome è "Su concali de Agroinus"), e che dopo scoperto il tesoro a cui accedeva tramite delle scalinate in marmo locale, per arrivare ad un certo punto all'ingresso delle sale, si trovava una porta in ferro abbastanza consumata dal tempo. Descrive anche delle fessure esistenti nella porta, e di come si riempì le tasche con delle monete d'oro per poi fuggire, essendovi nelle vicinanze dei gendarmi. Rientrato nella sua dimora-caverna sotterrò le monete, poco dopo venne catturato  e rinchiuso nel carcere di San Pancrazio in Cagliari, da dove venne trasferito ai bagni penali di Genova. Il Lampo scrisse in data 08 Giugno 1844 al Ministro di Stato e di Guerra di Torino, raccontando quanto appreso dalla bocca del Perseu, con la dicitura finale di venir ricordato per sì importante rivelazione, sperando in cuor suo nella concessione della libertà ed in qualche ricompensa. Tale notizia rimbalzò subito negli ambienti di Corte, destò scalpore al punto che ne parlarono anche i giornali esteri. Successivamente, in data 19 Giugno 1844 partiva dal carcere di Genova in direzione Torino il seguente dispaccio: (**)Il condannato Francesco Perseu, matricola 625, nativo di Asuni provincia d'Isili in conferma di quanto ebbi l'onore di rassegnare in sua supplica umiliata al Real Trono, si fa un dovere di ripetere a E.V. Ill.ma, che mentre egli nell'anno 1838 trovavasi bandito, ed errante nelle montagne del Regno di Sardegna sua patria, nella provincia di Isili, tra i salti di Samugheo e di Asuni sendovi un monte sulla cui vetta esiste un antichissimo Castello denominato del re orecchie d'asino, la di cui porta e finestre eran smantellate, dalla parte di levante havvi nella muraglia a fior di terra un foro di figura rotonda e del diametro sufficiente per dar'accesso ad un uomo passandovi carpone, per il quale Lui referente penetrò, ed ivi per mezzo di un condotto della stessa circonferenza, e lunghezza di braccia due circa munito di fanale acceso si portò all'imboccatura d'un buco esistente nel volto d'un sottoposto corridoio, nel quale discese per mezzo d'una scala tutta in marmo di quel paese della lunghezza di 25 a 30 gradini circa, e quindi ad essa in fondo alla distanza di cinque braccia circa appresentavaglisi improntata nel muro di prospetto una porta chiusa con anta di ferro, nella di cui metà vi esisteva un vasto buco di figura rotonda, avente due lamine di ferro a guisa di sciabola poste in croce, dall'uno dei di cui 4 campi aperti Egli penetrò in una vasta camera oscura, oblunga e sinuosa, laddove dal descrivente si scoperse nelle pareti dei muri varie statue di marmo color cenericio in apposita nicchia poste, sul pavimento di essa camera, che si era tutta di marmo, due voluminosi mucchi di monete d'oro l'uno e d'argento l'altro, tutte di figura squadrata, della lunghezza ognuno di cinque braccia e dell'altezza di mezz'uomo, negli angoli estremi poi della stessa camera parecchie migliaia di fucili, pistole, e sciabole tutte luccicanti lo chè lasciava supporre che potessero essere di composizione simile all'argento, però l'inossatura di fucili e pistole era tarlata e quasi affatto corrosa, ed in una parte della medesima camera un'impronta a guisa di finestra, nella quale si vedeva sovrapposta una corona d'oro di grandezza ordinaria, ed in altre simili impronte, sulle quale esistevano un corpo di figura ovale, e della grossezza di uovo lucentissimo, da cui l'inseriva potesse essere un diamante, e molte e varie posate d'oro, e d'argento, con piatti e tazze simili. Dopo ciò tutto osservato prima di dipartirsi prese tante di dette monete quante ne potevano capire fra le due mani, e se le pose in tasca ed uscì quindi dalla detta camera e Castello. Quindici giorni dopo venne arrestato, e perciò abbandonò dette monete nella grotta che gli serviva da ricovero sul monte del Delle vigne nei salti d'Asuni distante da detto Castello un'ora circa di cammino, denominata essa grotta Su concali de Argoneus, distante da un'ovile di porci che in quel tempo vi esisteva, di circa 25 passi; tale essendo la verità del fatto. Segue la dicitura che, essendo illetterato, si è segnato col segno della croce alla presenza di due testimoni, i quali hanno apposto le loro firme. Dal Ministero di Stato e di Guerra di Torino partirono subito dei dispacci alla volta del Palazzo Viceregio di Cagliari, all'attenzione del viceré Gerolamo de Launay, con la preghiera di usare il massimo riserbo, ma intanto indagare se nelle campagne tra Asuni e Samugheo esistesse un castello detto di Medusa, riferendo anche di eventuali vie di comunicazione. Il viceré De Launay trasmise l'interrogazione al sovrintendente della provincia di Isili avvocato F. Gessa, il quale, con una descrizione minuziosa rispose al viceré, parlando della zona alpestre in cui si trova il Castello, dicendo che non era un posto per esseri umani e parlando poi del tesoro. Inoltre avvertiva il viceré che gli Asunesi per loro indole vedevano tesori un pò dappertutto. Il manoscritto, datato  Mandas 31 Luglio 1844 riporta quanto segue: (**) Eccellenza, per la circostanza di aver io frequentato il villaggio di Asuni fin dal tempo di mia gioventù per interessi di famiglia mi era ben noto il Castello esistente in quei contorni che visitai anche in persona a fronte del suo pericoloso non che difficilissimo accesso, e perciò ne abbozzai nell'unita pezza i principali dati.



Ultimo aggiornamento Lunedì 10 Agosto 2009 23:55
 

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