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Sa Coja – le nozze PDF Stampa E-mail
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Scritto da Fortunato Loi   
Sabato 01 Agosto 2009 11:20

Finita la costruzione della casa di competenza esclusiva dello sposo, la sposa provvedeva ad arredarla. Essa portava in dote tutti gli arredi, suppellettili, ed il corredo di lino, che aveva ricamato negli anni precedenti aiutata dalla mamma. Particolarmente belli erano i copriletto, gli asciugamani, le tovaglie, i tovaglioli, e le federe “de is cabitzallis” (dei cuscini).

 

Il lino veniva coltivato in “sa cora de Etzera” o in qualche lotto di terreno confinante con il fiume nella località di “Mulinu de mesu o Mulinu de Jossu”. Una volta giunto a maturazione veniva mietuto e si metteva a macerare nell’acqua. Finito il periodo di macerazione veniva battuto “kun is mallus de linna”  (con i mazzuoli di legno) e quindi veniva tessuto ed affinato prima di essere ricamato.

 

I giorni precedenti la cerimonia, “is massaias” (le massaie) imparentate con gli sposi, finivano di “allichidì s’omu” (sistemare gli arredi ed il corredo) in quanto era vietato agli sposi entrare nella casa se non dopo sposati. Particolare cura riservavano al letto degli sposi, generalmente cucivano le lenzuola fra di loro senza non prima averci cosparso dello zucchero.

Altra usanza era di appendere “pittiollus” (dei campanacci) alla rete metallica, in modo che quando gli sposi si fossero recati a dormire sarebbero stati costretti a subirne il fracasso.

 

La celebrazione “de sa coja” generalmente avveniva la domenica, pare però che in tempi più antichi essa avvenisse il sabato “sa dì de Nostra Sannora” (giorno dedicato alla Madonna).

Il pomeriggio della vigilia, gli sposi si recavano a casa dei padrini e dei parenti più stretti per salutarli e chiedere scusa di qualche offesa in modo da sentirsi degni del sacramento che stavano per ricevere.

 

I parenti ed i padrini confortavano gli sposi dicendogli: “Andai tranquillus a si cojai fillus nostus ka non seis mai offendiu e si auguraus ki Deus si geada boña sotti kumenti disigiaisi” (Figlioli andate tranquilli a sposarvi che non ci avete mai mancato di rispetto e vi auguriamo ogni bene quanto ne desiderate).

 

All’indomani mattina la sposa si vestiva indossando la sottogonna al rovescio e posizionando la spilla, che reggeva il velo bianco, rivolta in avanti, ciò al fine di scongiurare il malocchio della gente invidiosa o di qualche rivale in amore.

 

Lo sposo, prima di lasciare la casa paterna, salutava i genitori i quali con le lacrime agli occhi rispondevano  “Deus t’aggiudidi fillu miu a bivi in paxi e armonia cun sa cumpangia tua” (Dio ti aiuti, figliolo, a vivere in pace ed armonia con la tua sposa). Altrettanto avveniva nella casa della sposa.

 

Lo sposo accompagnato dai parenti ed amici e preceduto da “su soñadori” (fisarmonicista) si recava a casa della sposa ed aspettava sull’uscio che lei uscisse e si posizionasse dietro allo sposo. Lo sposo veniva accompagnato all’altare da una sorella, ed in mancanza di essa da una cugina, mentre la sposa veniva accompagnata da un fratello o da un cugino.

Il corteo s’incamminava verso la chiesa, lungo il precorso, le massaie uscivano dalle abitazioni con in mano un piatto contenente grano, sale e petali di fiori, a significare abbondanza, sapienza ed amore. Una volta lanciato il contenuto sugli sposi e sul corteo il piatto veniva rotto ed i cocci non dovevano essere raccolti prima di una settimana.

 

Accompagnati gli sposi all’altare si procedeva allo svolgimento della funzione religiosa.

Terminata la funzione religiosa, gli sposi preceduti da “su soñadori” (suonatore di fisarmonica) e seguiti da parenti ed amici si recavano alla propria abitazione, nel tragitto veniva ripetuto, da parte delle massaie che abitavano nelle vie attraversate, il lancio del grano,del sale e dei petali di fiori.

 

Giunti alla propria abitazione, sull’uscio li attendevano i rispettivi genitori, ai quali si inchinavano per ricevere “sa bededizioñi” (la benedizione).

Le rispettive mamme, lanciando dei chicchi di grano, non senza qualche lacrima, pronunciavano la seguente formula: “Sa bededizioñi chi seus appana giau si srebada po bivi kumenti disigiaisi”

(La benedizione che vi abbiamo impartito vi serva per vivere come desiderate).

 

Tutti, sposi ed invitati varcavano l’uscio della casa degli sposi, e si disperdevano nelle varie stanze.

Si procedeva ad effettuare “s’invittu cun vernaccia, arrosolliu e druccis de mendulla, pirichittus e amarettus” (l’invito con vernaccia, rosolio e dolci di mandorle, piricchittus ed amaretti), l’invito continuava fino all’ora di pranzo.

 

Durante il pranzo agli sposi venivano rivolti cori di auguri e di scherno cantando una canzoncina rivolta allo sposo che diceva “gei ddasi fatta bella a di cojai, piga su piccu e bai a traballai………….” (hai visto l’errore che hai commesso sposandoti ora ti toccherà lavorare ………….), oltre a ciò assieme al pane “su coccoi de is sposus” (pane degli sposi) ne veniva confezionato uno di particolare forma che veniva offerto agli sposi su un vassoio coperto da un tovagliolo che la sposa scopriva con grande  stupore e rossore.

 

Finito il pranzo il fisarmonicista iniziava a suonare ed i giovani e gli sposi si cimentavano in balli sardi e balli civili, continuando ininterrottamente fino all’ora di andare a letto.

Gli sposi entrati nella camera da letto, una volta spogliati tentavano di infilarsi a letto, ma li aspettava lo scherzo combinato dalle massaie.

 

Diverso era “Sa coja de is fiudus” (il matrimonio dei vedovi).

 

Essi tentavano in tutti i modi di tenere segreta la data del matrimonio, ma come sempre succedeva, la data era risaputa da tutto il paese.

 

La sera prima del matrimonio gruppi di burloni si mettevano sotto la finestra della camera da letto del vedovo e con "sullittur" (pifferi), "crabattoris" (coperchi di pentole) ed arnesi da cucina improvvisavano un chiassoso concerto.  La combriccola veniva fatta tacere dal vedovo offrendo loro abbondanti libagioni, ciò non di meno, all’indomani all’alba, alla prima messa, quando il vedovo accompagnato dal testimone si recava in chiesa dove nel mentre si recava l’altro promesso, veniva seguito dalla chiassosa combriccola e concerto che finiva nell’uscio di chiesa.

 

Ultimata la cerimonia i novelli sposi rientravano nell’abitazione seguiti dai testimoni e dall’allegra combriccola che gli accompagnava in silenzio in segno di rispetto, che venivano invitati a bere il caffè e quindi licenziati.

 

I vedovi che si risposavano non effettuavano alcun tipo di  festeggiamento.

 

Non tutti i matrimoni erano sfarzosi, a volte tanta era la povertà, che i futuri sposi non avevano neanche lacrime per piangere, ed allora la popolazione li aiutava con quanto poteva per la cerimonia dello sposalizio.

 

Ciò non accadeva solo ad Asuni, ma anche nei paesi dei dintorni, tanto che un matrimonio di due poveracci è passato alla storia : Sa coia  de Damus de Simaxis

Un giovane di nome Damus, un povero, disoccupato, a volte sostituiva il banditore per fare i bandi pubblici. Era da tempo fidanzato ufficialmente e voleva sposarsi. Ma le sue condizioni non gli permettevano di far fronte alla spesa per un pranzo ai parenti, non poteva neppure  offrire un rinfresco agli invitati all’uscita della messa. Nella stessa condizione si trovava la promessa sposa. Gli sposi  erano  rassegnati a nozze prive di invitati con la presenza dei soli genitori.

Damus invece ci teneva ad essere accompagnato da amici e parenti per non essere in chiesa da solo. Egli era un giovane allegro e burlone.  Decise, allora, con la fidanzata, di invitare, lo stesso, amici e parenti con un bando in tutte le vie del paese.

E... si’etta sa grìda! ..... Damus e sa picciòcca, avvèrtit parèntis e amìgus k’hanti decìdiu de si sposài sàbudu. Totus cussus chi tenit prexèi de partecipài a sa còja insòru, funti pregàusu de si pigài  scannus po sezzi poita in dom’ ’e issus nò ndi ddu esti. Avvertid’ ancòra, si kalincùnu de is invitàus hessid’ òffiu abarrài a pràndi, e’ necessàriu chi s’arragòllada kos’ e'pappài e de buffài”.

BANDO:

(Damus e la fidanzata avvertono amici e parenti che sabato prossimo dovranno celebrare le nozze.  Chi avesse il piacere di partecipare al loro matrimonio è pregato di portarsi la sedia perchè nella casa degli sposi non ce ne sono. Avvertono inoltre che se i partecipanti vogliono restare a pranzo, è necessario che si portino anche da mangiare e da bere)

Alla vigilia delle nozze, numerose famiglie di parenti e amici portavano a casa degli sposi tutto quello che serviva per il pranzo   sedie, tavoli, tovaglie, piatti, posate, vivande e bevande sufficienti per banchettare per due settimane.

Da matrimonio poverissimo si trasformò in un matrimonio ricchissimo.

   Fortunato Loi                                                                        

 

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