S’akabu de sa coja - fidanzamento Stampa
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Scritto da Fortunato Loi   
Sabato 01 Agosto 2009 11:18

Anche nell’antica società Asunese poteva accadere che un giovane fosse respinto dalla ragazza che chiedeva in sposa; se tutto succedeva con cortesia e gentilezza, col tempo passava il dispiacere per il rifiuto, ma se accadeva che la ragazza si vantasse con poco giudizio di aver rifiutato la domanda o criticasse le qualità del pretendente o i suoi familiari non sapessero tenere il segreto, cioè di “hai torrau croccoriga” facendone il nome,  veniva ripagata con “s’arromada” che avveniva in una notte che precedeva “uña di nodida” (un giorno festivo), in modo che la beffa potesse essere vista da tutto il paese.

 

S’arromada, veniva eseguita al buio della notte, e consisteva nella decorazione della facciata della casa della ragazza con escrementi umani prelevati da un pozzo nero, essi venivano trasportati in una “brugna o brocca beccia” recipiente che veniva poi abbandonato davanti all’uscio di casa.

       Stessa sorte subiva la ragazza che nei “ballus in pranza” (balli in piazza) rifiutasse con poco garbo l’invito di un ragazzo e nel medesimo ballo preferisse ballare con un altro.

 

Questi eventi erano una cosa rara anche perché tutte le ragazze venivano preparate a comportarsi in società, ed anche perché non si innescassero una serie di vendette che non si sapeva dove potevano sfociare.

 

Quando tutto, nella quasi totalità dei casi, si svolgeva normalmente dopo un periodo di “fastigius” i due decidevano di fidanzarsi, quindi il giovane decideva di fare “Sa domanda”, (chiedere in sposa), secondo un preciso rituale, l’amata.

 

Si recava de “Su parallimpiu”, pronubo, che poteva essere uomo o donna, di fiducia del giovane.

Su parallimpiu”  era una persona di buone qualità, intelligente, di buone maniere, gran conversatore, in quanto doveva districarsi nella delicata ambasciata, così, un sabato, a “cabudesceña” , (prima di cena), “Su parallimpiu” (il pronubo) si recava a casa della ragazza.

 

All’ingresso nella casa salutava “Gesugristu” (Gesucristo sia lodato) e gli rispondevano “Sempri sia lodau” (Sempre sia lodato), quindi veniva fatto accomodare in “coxiña”, (in cucina).

Se la ragazza era presente, appena vedeva “Su parallimpiu” (il pronubo), intuendo il motivo della visita, si allontanava e si metteva  a “su trollaxiu” (telaio) e continuava a tessere non senza parare l’orecchio ai discorsi che si svolgevano in “coxiña” (cucina).

 

Dopo che “Su parllimpiu” (il pronubo), ed il capofamiglia discorrevano della situazione generale dell’annata agraria “de s’aringiu e de su bestiamini”, dei lavori agricoli e dell’allevamento, “Su parallimpiu” incominciava a trattare dell’argomento per cui era in visita e generalmente si esprimeva in questi termini: “Efisinu Forredda (il pretendente) hadi decidiu de cicai pobidda e m’adi giau s’ncarrigu de si fai a conosci ka iada penzau de poi koiai a Maria”. (Efisino Forredda ha deciso di prender moglie e mi ha dato l’incarico di farvi sapere che vorrebbe sposare la vostra figlia Maria).

 

Su parllimpiu” continuava tessendo elogi sul carattere, sull’onestà, e sulle possibilità finanziarie del pretendente. “Efisineddu esti un bravu piccioku, traballadori, onestu e de iniziativas bellas,  cosa ki esti nodiu in tottu sa idda, e cumenti scideisi, teñidi un bellu pageddu de terra de arai e po su bestiamini, scideisi ka teñidi brobeisi e baccasa, e cun su iu hadi cumenzau puru a ndi ettì sa pedra po fai s’omu”. (Efisio è un bravo ragazzo, lavoratore, onesto e di buone iniziative, cosa risaputa in tutto il paese, e come sapete, possiede un alcuni ettari di terreno per arare ed alcuni per pascolo, possiede pecore e vacche, ed ha anche incominciato a trasportare la pietra per costruirsi la casa).

 

Il genitore generalmente rispondeva “S’arringraziu de s’onori ki eisi fattu a kust’omu, però teneus puru su doveri de si nai ka Maria esti ancora troppu picciokedda po si coiai e non teñidi ancora su corredu prontu,i ogni modu, nosu ndeus a kistionai in famiglia, e fostei, torrai sabudu ki beñidi a cabudesceña e seus a giai uña risposta” (Vi ringrazio dell’onore che avete fatto a questa casa, però mi corre l’obbligo di ricordarvi che Maria è ancora giovane e che ancora non ha completato il corredo, comunque ne parleremo in famiglia e se tornate sabato venturo prima di cena vi daremmo risposta).

 

Una volta andato via “Su parallimpiu”, il genitore informava la figlia, anche se lei già sapeva tutto, della visita e di ciò che si erano detti.

 

La figlia, pur essendo “in fastiggiu” (amoreggiando) con Efisineddu, con timidezza acconsentiva alla proposta di matrimonio.

 

Passati gli otto giorni, il sabato successivo, “Su parallimpiu” (il pronubo), puntuale “a cabudescena” bussava alla porta, veniva fatto accomodare in “coxiña” (cucina), e questa volta anche alla presenza della ragazza.

A “Su parallimpiu” (pronubo) questa volta, come usanza, veniva offerta “un scannixeddu segau” una sedia sgangherata e questi essendovi abituato, prende lo scanno e con perizia si siede.

 

La ragazza controlla come “Su parallimpiu” (il pronubo), si siede, se per caso barcolla, o se rischia di cadere, perché era credenza che se “Su parallimpiu” (il pronubo) accennava a cadere voleva dire che la sera non sarebbe stata la serata conclusiva e quindi si sarebbe dovuta spostare la data del fidanzamento.

 

Su parallimpiu” (il pronubo), in bilico sullo scanno sgangherato inizia il discorso: “Kumenti fuaus de accordiu, seu torrau po sa risposta de su ki appu trattau sabudu passau” (Come d’accordo sono ritornato per la risposta per ciò che ho domandato sabato scorso)

 

Il genitore della ragazza rispondeva : “Paridi ki sa picciokedda ndi dengiada presceri, e po nosu sa vollontadi sua esti su prus importanti, olli  nai ca sa coja, ki Deus ollidi s’adi a fai” (Pare che la ragazza lo voglia anche lei, e per noi la sua volontà è più importante, perciò, se Dio vuole questo matrimonio si farà) e continuando “Biu ka seusu arribausu ai kustu puntu, è ncessariu ki Efisinu, po fai is cosas kumenti s’ispettada, deppidi fai benni su babbu e sa mamma deainci decideus de akabai sa coja” Visto che siamo arrivati a questo punto, è necessario che Efisinu, per fare le cose come si deve, faccia venire il babbo e la mamma, così decidiamo il giorno del fidanzamento).

 

Accadeva, talvolta che i genitori, pur accettando la domanda pretendessero che i futuri sposi restassero senza vedersi per un periodo variabile da tre a sei mesi per mettere alla prova l’intensità del loro amore, tanto che permettevano solo lo scambio di messaggi attraverso parenti o amici comuni.

Ciò veniva fatto perché così facendo credevano di  evitare che si facesse un matrimonio sbagliato.

 

Su prallimpiu” veniva, per il lavoro svolto, ricompensato con un modesto regalo, veniva invitato regolarmente alle nozze e se era impossibilitato a presenziare, a casa, gli veniva recapitato un pacco contenente i dolci “de sa coja” (del matrimonio).

 

Arribada sa di de s’accabu de sa coja” (arrivato il giorno del fidanzamento ufficiale), il pretendente accompagnato dai genitori e da alcuni parenti, si recava a casa della futura sposa.

 

Si iniziava quindi un conciliabolo che al giorno d’oggi sembra irreale.

Il genitore dello sposo bussava alla porta e prima che la porta si aprisse da dietro l’uscio il padre della sposa diceva “ E ki esti sa genti chi appicchiada a kust’ora” (Chi bussa a quest’ora?) –

 

Il padre dello sposo rispondeva : “Seus genti de foras ki seus cikendi uña malloredda ki s’ammancada e s’anti nau ka esti facilli ki si siada  ammesturada  a su bestiamini de fostei” (Siamo forestieri in cerca di una vitella, e ci hanno detto che facilmente si sia unita alla vostra mandria)

 

Rispondeva ancora il padre della sposa : “Adessi difficcilli, poita deu non mi seu akattau de nudda” (Sarà difficile perché io non mi sono accorto di nulla).

 

Di rimando il padre dello sposo : “Fadei su praxeri, fazzadasi intrai a giai uña kastiada, si du esti beni, de ghi nò olli nai ka eus a domandai scusa de su disturbu” (Faccia il favore, ci faccia entrare a dare uno sguardo, se c’è bene altrimenti domandiamo scusa per il disturbo).

 

Questo conciliabolo veniva chiamato “Sa preguntada” (La domanda), quindi con grande cortesia faceva accomodare “Sa gent’e foras” (I forestieri) in “s’apposentu bellu” (nel salotto).

 

Nel mentre in una stanza attigua, la promessa sposa vestita all’occorrenza in compagnia di altre ragazze e di qualche ragazzo vestito da donna erano pronti a sfilare davanti ai cosiddetti forestieri rappresentando “Su bestiamini” (la mandria).

 

Il genitore della sposa faceva uscire una ad una “Is Malloreddas” e chiedeva : “Esti kusta sa malloredda ki cikais” (è questa la vitella che cercate?)

 

Il genitore dello sposo non riconoscendo la futura sposa rispondeva :

Nossidi non esti kusta” (No non è questa)

 

E si andava avanti fino a quando non usciva la promessa sposa allora il padre dello sposo diceva : “Mi paridi ki siada kusta” (Mi sembra che sia questa) ed interveniva il promesso sposo “Sissi babbu esti propriu kusta” (Si babbo è proprio questa).

 

Il babbo della promessa sposa invitava il promesso sposo  ad avvicinarsi alla sua futura compagnia e pronunciava la seguente formula: “Efisinu Forredda ollis tui po ligittima sposa a Mariedda Krivaxiu ki pottasa a su costau” (Efisinu Forredda vuoi tu per legittima sposa Mariedda Krivaxiu che hai a fianco ?) poi rivolgendosi alla figlia “Mariedda Krivaxiu ollis tui po ligittimu sposu a Efisinu Forredda ki pottasa a su costau” (Mariedda Krivaxiu vuoi tu per legittimo sposo Efisinu Forredda che hai a fianco ?), i due giovani rispondevano si, sentito l’assenso di entrambi il padre della sposa concludeva : “Giuseppi e Maria rafforzanti kusta promissa , tokaisia sa mau e sezeisia” (Giuseppe e Maria rafforzino questa promessa, datevi la mano e sedetevi).

 

I due fidanzati si sedevano, quindi, uno vicino all’altro e si iniziavano i festeggiamenti “de s’akabu de sa coja” (del fidanzamento ufficiale) con balli e libagioni.

 

All’indomani  “de s’akabu de sa coja” (del fidanzamento ufficiale) che avveniva o di sabato o il vespro “de uña dia nodia” (giorno di festa), i neo fidanzati si recavano in chiesa a “missa cantada” messa di mezzogiorno accompagnati da un gruppetto di parenti ed amici. All’uscita di chiesa  si recavano a pranzo a casa della ragazza.

 

Dopo pranzo i due fidanzati si recavano a far vista parenti e nel tardo pomeriggio, se vi erano balli si recavano a “sa pratza de is ballus” per ballare il ballo sardo. Finiti i balli il fidanzato riaccompagnava la fidanzata a casa.

 

Era usanza, rispettata, che il fidanzato facesse una sola visita settimanale alla fidanzata, generalmente la domenica e le altre feste comandate,ma non più tardi dell’imbrunire.

 

Questa usanza veniva imposto dai genitori delle promesse spose, però pare, anche se non ne resta documentazione ad Asuni, mentre ne resta in alcuni dei paesi vicini, che fossero preposti a tale controllo del rispetto di tale usanza la compagnia barracellare che infliggeva le seguenti multe :

Lire 2 per la prima volta che si trovava il fidanzato che durante la settimana faceva visita alla fidanzata.

Lire 4 se capitava una seconda volta.

Coloro che venivano sorpresi a violare continuamente l’usanza potevano essere messi anche in prigione per un giorno.

 

Fortunato Loi