Su Burriccu de Ziu Cicciu Stampa
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Scritto da "Su Cuccumeu"   
Sabato 01 Agosto 2009 13:24

Ai primi di ottobre, anche quell’anno, così come i tanti anni già passati, ziu Cicciu, con il suo fido “ciuccullati”, un asinello grigio scuro, con un carattere piuttosto permaloso, quasi irascibile, si apprestava ad effettuare la raccolta delle pere “de appiccai” .
Una mattina, senza vento ed in assenza di nuvole, decise di avviarsi, insieme al nipote Tonino, verso “stùnu”, una località sul versante nord-est ubicato dietro al monte Ualla.
Fino ai primi anni 60 la zona era ricchissima di piante di pere di ogni specie ed in particolare della varietà detta “pira de appiccai”, proprio perché veniva appesa in cantina o in “su stauli” e durava tutto l’inverno, a volte anche fino a Pasqua.
S’incamminarono che era ancora buio, costeggiando il cimitero e scendendo poi da “sa scocca manna” verso “luxias”, guadarono il fiume, quasi in secca, all’altezza di “molinu de jossu” e quindi cominciarono ad inerpicarsi lungo la vecchia strada che portava alla miniera di Ualla per proseguire quindi sul sentiero tracciato all’altezza de “su stiddiu” ed arrivare poi in “su canali de stùnu”.
Ziu Cicciu, pur bassottino e rotondetto, camminava veloce tirandosi appresso “ciuccullati” con la cavezza, mentre molto più indietro seguiva Tonino.
Cicciu era un ex capraro quindi l’allenamento non gli mancava, Tonino era, come si dice, nato stanco, aveva frequentato con scarso profitto le elementari dove era stato bocciato molte volte, nell’ultimo anno era stato promosso per anzianità.
Se lo studio non era la sua passione, il duro lavoro nei campi lo era ancora meno, quindi aveva accolto con favore l’invito dello zio ad andare in campagna a raccogliere pere invece che a zappare con il padre per piantare le fave..
La raccolta delle pere doveva essere effettuata direttamente dall’albero senza farle cadere a terra e questo era il compito di Tonino, doveva cogliere le pere che indicava lo zio, poi ad una ad una gliele passava e lui a sua volta le appoggiava dentro “su scarteddu” con il fondo foderato di erba secca, una volta riempito, il tutto veniva messo dentro le capienti “bertule”, sovrapponendo uno strato di pere ed uno di erba secca per evitare che queste si pestassero e fossero inservibili per la conservazione invernale.
Con questo procedimento, ziu Cicciu, da tanti anni si approvvigionava delle pere che duravano tutto l’inverno mangiando per prime quelle che eventualmente dovessero presentare segni di marcescenza, ma a vigilare sulla corretta conservazione delle pere, nonchè della salsiccia, della grandula, delle ossa del maiale salate, della mustella oltre che delle granaglie e dei legumi secchi era zia Fisiedda, la moglie di Cicciu.
Di tanto in tanto Cicciu si avvicinava a Ciuccullati e gli dava da mangiare le pere che secondo lui non meritavano di essere conservate, anche perché al trasporto delle bertule doveva pensarci proprio l’asinello, che come già detto era piuttosto permaloso e quando un carico superava un certo limite lui non faceva tanti complimenti e sene liberava “accumburendi” (sgroppando) e buttando tutto per aria.
Per questo motivo, Cicciu stava molto attento, oltre alla qualità, anche alla quantità di pere che dovevano essere trasportate, magari tenendosi anche sotto peso considerato che il percorso da fare era anche abbastanza accidentato.
Verso le tre del pomeriggio, dopo che avevano “murzau” con pane, formaggio e bevuto un pò di vino dall’immancabile “crocoriga de binu” di Cicciu, considerato anche che il sole ormai stava scomparendo dietro Punta Modighina, decisero di caricare le “bertule” in groppa a Ciucculatti, facendo molta attenzione a non appoggiarvisi sopra per non dargli l’impressione che lo stessero sovraccaricando.
Quindi ripresero il cammino di ritorno, non prima che Cicciu, raccomandasse al nipote di non toccarlo ne appoggiarsi all’asino ne di tirargli la coda o altro, di buon grado, Tonino, con il tascapane pieno di pere lasciò andare avanti asino e zio e cominciò a sbocconcellare le pere che più gli piacevano.
Quando al termine della discesa giunsero di nuovo al fiume, la tensione di Cicciu dovuta al percorso accidentato ed ai brutti scherzi che poteva combinargli ciuccullati, cominciò ad allentarsi, ma ciò nonostante, anche se si era ormai all’imbrunire, decise che era il caso di riposarsi e facendosi aiutare da Tonino tirò giù le bertule dalla groppa dell’asinello.
Approfittò della sosta per recuperare dietro il cannetto di Molinu de Jossu, un mazzo di “sessini”, una particolare erba palustre che veniva utilizzata per legare di tutto, in questo caso le pere da appendere.
Aveva tagliato “su sessini” circa una settimana prima e l’aveva messa a seccare all’ombra delle canne, era quindi pronto per essere inumidito nell’acqua ed utilizzato come legaccio.
Dopo avere fatto bere ciuccullati e datogli da mangiare altre due pere, così il peso diminuiva ancora e non gli avrebbe creato problemi soprattutto lungo la salita da “sa calada de flumini” fino a “sa scocchiscedda”, ricaricarono le bertule sull’asino e si riavviarono verso Asuni.
Quando ormai erano giunti quasi al culmine della salita, Cicciu si ricordò di avere dimenticato su sessini sul greto del fiume e imprecando chiese al nipote di farsi una corsa fino a Molinu de Jossu per andarlo prendere.
Tonino, un po’ per mandronìa, un pò per paura perché cominciava a farsi buio, era poco propenso a fare quanto chiesto dallo zio, ma quando questi ricominciò a tirare ciuccullati e proseguendo la salita senza nemmeno guardarlo e cominciò a dargli del fifone, si sentì punto nell’orgoglio e decise di scendere di corsa a prendere su sessini, non prima di essersi liberato del tascapane, in parte ancora pieno di pere mettendolo in groppa all’asino.
Mai l’avesse fatto, quando ciuccullatti, che già arrancava in quel ripido tratto di salita, si ritrovò sulla groppa un peso non previsto, si comportò di par suo e cominciò a accumburai (sgroppare) buttando per aria le bertule con tutte le pere e rifilando pure un calcione a Cicciu che cercava disperatamente di fermarlo.
Le bertule con tutto il contenuto andarono a finire sotto la stradina, sul sentiero che saliva da Molinu de Mesu a sa Scocchiscedda che normalmente usavano le donne che andavano a lavare i panni nel fiume e da lì le pere cominciarono velocemente a rotolare lungo il costone.
Tonino dal canto suo, non si era accorto di nulla di quanto aveva combinato, era partito a rotta di collo verso il fiume, sentiva solamente lo zio che imprecava, ma pensava che stesse ancora gridando contro di lui, magari chiamandolo ancora fifone, ma gliela avrebbe fatto vedere lui quando di li a pochi minuti sarebbe tornato su con il mazzo di sessini, altro che fifone !.
Cicciu, ormai aveva perso ogni speranza di poter recuperare le pere, erano tutte pestate, non riusciva a capacitarsi di quello che gli aveva combinato ciuccullatti, eppure era stato attento a non sovraccaricarlo, ciò nonostante, aveva sgroppato e gli aveva pure rifilato unu grancinu (calcio) in una gamba !.
Mentre rifletteva sull’ingratitudine dell’asino, vide risalire di corsa il nipote con in mano il mazzo di sessini e solo allora si ricordò anche della sua presenza, quantomeno non poteva incolpare lui di quanto combinato dall’asino, visto che non era neppure presente.
Tonino arrivò trafelato e orgoglioso gli porse il mazzo di sessini, “altro che fifone eh ?”, dato che ormai era quasi buio, si accorse solo allora che l’asino poco distante era senza le bertule in groppa e che nelle vicinanze c’erano diverse pere pestate per terra e soprattutto che lo zio zoppicava.
Una volta che il nipote fu vicino, Cicciu, potè notare che non aveva in spalla il tascapane, quando gli chiese cosa ne avesse fatto, vedendo la faccia di Tonino capì subito perché ciuccullatti gli aveva fato quello scherzo e pur zoppicando e imprecando si mise a rincorrere il nipote.
Tonino, capito il guaio che aveva combinato, senza pensarci su due volte partì a razzo verso il paese, dal canto suo Cicciu decise che doveva fargliela pagare e non potendo rincorrerlo a lungo, gli tirò un sasso, era uno che riusciva a centrare il corno di una capra a trenta metri di distanza figuriamoci se non beccava la caviglia di quel cretino del nipote.
Difatti lo beccò alla caviglia destra, il poveraccio perse l’equilibrio e cadde a faccia in giù nella fanghiglia di “sa cora de luxias”, a quel punto l’ira di Cicciu lasciò il posto allo spavento, magari aveva fatto veramente male al nipote e zoppicando si avviò per rialzarlo da terra per verificarne le condizioni.
Tonino, per fortuna, aveva solo qualche graffio sulle mani e si era sbucciato le ginocchia, mentre il rosso sulla faccia e sulla camicia era dovuto solo al colore della terra di “luxias”, i due ormai rassicurati sulle rispettive condizioni di salute e vedendo arrivare ciuccullati che trotterellava verso di loro mentre sbocconcellava una pera scoppiarono a ridere come matti.
E come tali vennero presi da ziu Grallus che faceva il guardiano in una vigna li vicino e che sentendo tutto quel trambusto si era avvicinato per vedere cosa mai fosse successo, quando i due, sempre ridendo, gli raccontarono quello che era successo, Grallus, si convinse che zio e nipote erano veramente matti forse anche più dello stesso asino e sene tornò borbottando alla baracca dentro la vigna.
Quando giunsero a casa trovarono sull’uscio zia Fisiedda preoccupata per il ritardo del marito e del nipote, vedendo che l’asino andava verso il suo recinto senza nulla in groppa, che Cicciu zoppicava mentre suo nipote Tonino aveva i pantaloni rotti, le ginocchia sbucciate e la faccia ancora piena di terra rossa si spaventò di brutto e per poco non gli venne un colpo.
Quando le raccontarono come erano andate le cose andò su tutte le furie e per poco il colpo non venne invece a zio e nipote, zia Fisiedda quindi impartì i suoi ordini, “di corsa a lavarvi poi a letto perché domani mattina dovrete alzarvi quando è ancora buio per andare a “sa scocchiscedda”!.
Cicciu obbiettò che tanto le pere erano tutte pestate e non aveva senso tornare lì, anche Tonino si disse d’accordo con lo zio, ma Fisiedda li zittì entrambi, “tu Tonino vai e cerca il tascapane di tuo padre che ce l’ha da quando era militare in Grecia, tu, invece, dice rivolto a Cicciu vai a recuperare le bertule di orbace che comare Tarsilla ha impiegato un mese per tesserle e non tornare senza !”.
A malincuore i due ammisero che Fisiedda non aveva tutti i torti per cui decisero di ubbidire.
La mattina dopo, erano in piedi già dalle quattro, non tanto perché volevano arrivare presto, quanto perché avevano una fame da lupi dato che Fisiedda li aveva mandati a letto pure senza cena, per cui d’accordo decisero di fare colazione abbondante.
Quell’anno non avevano ancora ammazzato il maiale, per cui per companatico c’era solo lardo salato e pancetta quasi rancida dell’anno prima, ma il tutto arrostito sul fuoco appena fatto e con pane abbrustolito, innaffiato abbondantemente dal solito vino nero di compare Virgilio quasi “spunto” saziò i due che quando era ancora buio pesto s’incamminarono verso il fiume.
Il vinello nero cominciò a fare effetto e dopo putzu nou, appena sorpassato il camposanto i due ridendo ricominciarono a raccontarsi vicendevolmente l’avventura vissuta il giorno prima, quando arrivarono a metà di “sa callada de luxias”, il loro vociare svegliò il guardiano della vigna ziu Grallus che sentendo tutto quel trambusto mentre intorno era ancora buio pesto, pensò che potevano essere solo degli spiriti, certamente non erano ladri che cercavano di fregargli l’uva, facevano troppo baccano e soprattutto ridevano come matti.
Comunque prese lo schioppo, una vecchia doppietta calibro sedici a cani esterni, caricato a pallini numero nove, gli stessi che usava contro gli storni che gli mangiavano i fichi e si appostò vicino alla strada all’ingresso della vigna.
Il buio pesto gli impediva di vedere alcunché, e solo quando i due gli arrivarono a pochi passi capì che erano quei matti di zio e nipote della sera prima, questi gli spiegarono cosa stavano andando a fare, Grallus si rilassò e in parte sentendosi in colpa per come li aveva trattati il giorno prima li invitò nella sua capanna dentro la vigna, tanto con il buio che c’era non potevano certamente ritrovare un bel niente.
Dopo alcuni minuti di discussioni sul tempo e sull’annata vinicola, i due chiesero se avesse qualche cosa da bere perché avevano sete, il lardo salato e la pancetta arrostita cominciavano a fare effetto !, Grallus aveva solo un fiasco di vino iniziato, pure mezzo acido perché lui non era un gran bevitore, ma acqua non ne aveva, gliela avrebbe portata più tardi la moglie in “su frascu” come ogni mattina.
Zio e nipote non fecero complimenti, in mancanza d’acqua trangugiarono il vino, tanto erano allenati, ne avevano ingurgitato già un bel po’ a casa di Cicciu, in pratica si scolarono quasi tutto il fiasco offerto da Grallus, quest’ultimo, meravigliato che qualcuno potesse bere tanto vino fin dal primo mattino e per evitare che la moglie, una donna molto autoritaria, lo trovasse in compagnia dei due ormai sbronzi, li invitò a cominciare ad avviarsi alla ricerca del tascapane e delle bertule prima che passasse qualche altro e magari gliele fregasse.
Percorsero il breve tratto di sentiero fino a “sa scocchiscedda” sbandando paurosamente da un lato all’altro della strada e solo per miracolo non si punsero malamente con le spine delle piante di fichidindia che delimitavano la strada, infine giunsero sul posto che cominciava ad albeggiare.
Furono fortunati, trovarono sia il tascapane che entrambe le bertule e ormai dato che c’erano, decisero di raccogliere anche le pere che riuscivano recuperare, male che andava le avrebbero date al maiale oppure a Ciuccullati che poverino anche lui la sua parte l’aveva comunque fatta.
Con le pere recuperate riempirono a metà le due bertule, in una delle quali infilarono pure il tascapane vuoto e dopo di ché si avviarono arrancando sulla strada del ritorno, quando passarono davanti alla vigna di Grallus questi si guardò bene dall’avvicinarsi a loro, quando arrivarono a “sa scocca manna”, decisero di riposarsi anche perché il vino, con la fatica della salita ed il caldo faceva il suo effetto e faceva venire le gambe molli.
Su pausadroxiu di sa “scocca manna” era così comodo che i due, messe da parte le bertule con le pere, si appisolarono, nel frattempo, un branco di maiali che pascolava allo stato brado e si spostava da “Budraga” a “Is Argiolas” senza che il porcaro Nanni li governasse se non facendoli rientrare a sera in “s’accorru”, passò vicino ai due addormentati e sentendo odore di frutta gli animali si avventarono sulle due bertule e senza tanti complimenti si papparono tutte le pere, dopo di ché, ben sazi, proseguirono il loro percorso verso “Is Argiolas” po ammeriai (riposare all’ombra).
Quando i due si svegliarono, si ritrovarono un po’ meno sbronzi ma con un gran mal di testa che si accrebbe notevolmente quando si accorsero che le bertule erano sparite così come le pere delle quali rimaneva solo qualche traccia sparsa intorno a loro.
Poco distante ritrovarono anche ciò che restava delle bertule e del tascapane, il tutto praticamente ridotto a brandelli dalle solide mandibole dei maiali, che guaio, chissà come l’avrebbe presa Fisiedda e soprattutto il cognato di Cicciu, che teneva al tascapane più di qualunque altra cosa, raccontava sempre come durante la guerra l’aveva fregato ad un soldato tedesco durante la campagna di Grecia !
Ciò nonostante furono comunque costretti a tornare a casa, a sopportare tutti gli improperi che gli proferiva zia Fisiedda e soprattutto quando la cosa fu risaputa in paese, ai due venne “posta sa canzoni”, come si usava in quei tempi, suo malgrado ci andò di mezzo anche Fisiedda, tant’è che rimase il detto “sa pilladra prus niedda est cussa de Fisieddda”, nel senso che non potendole fare di pere (sa pilladra) le fece proferendo sui due malcapitati una tale quantità e “qualità” di improperi che, come si dice “da portaianta a nomini !”